Si avvicina il compleanno di Pocket Manager e così abbiamo pensato: “Qual miglior occasione per raccontare la nostra storia??!”. Eccoci, quindi. Ha un ché di strano in realtà. Non sembra vero che siano già passati 4 anni dalla nascita di Pocket. È stato avvincente vivere questa impresa fin qui. Bello raccontarla, quando capita, ad amici e sconosciuti o ricordarla chiacchierando con chi ci ha messo il cuore. Sicuramente è una nuova sfida metterla giù per iscritto.

 

C’era una volta…

Tutto ebbe inizio nel lontano (?) 2016. Anzi, no, rettifichiamo: Pocket Manager nacque effettivamente nell’ottobre del 2016, ma questa storia inizia un paio di anni prima. La protagonista, un’impavida ventiduenne (che sarei io) stava allora ultimando gli studi e sognava di entrare presto, trionfante, nel magico mondo del lavoro. Le avevano detto che se avesse studiato e se avesse costruito negli anni un curriculum degno e corposo, avrebbe sicuramente avuto una carriera di successo. Bugia…le cose purtroppo non stanno sempre così e, suo malgrado, la nostra protagonista lo scoprì ben presto. Finiti gli studi infatti, appurò fin dai primi colloqui con le imprese che i “bei curriculum” magari funzionavano, mentre quelli “TROPPO belli”, spesso, no. “Sei troppo qualificata per un ruolo junior o per uno stage” le rispondevano alcuni, “il profilo è in linea con un ruolo middle o senior, ma dovresti avere almeno 4-5 anni di esperienza” dicevano altri… Questo almeno quando si arrivava ad un colloquio diretto, dopo una sfilza di lunghi processi di selezione e una quantità impressionante di candidature cadute nel vuoto.

 

Un caso, un indizio, una prova

Stava un giorno, la nostra protagonista (che sarei sempre io), a rimuginare sull’ennesima candidatura andata a vuoto mentre sorseggiava un latte di mandorla al bancone di un bar. Il barista, tipo amichevole, le chiese cosa facesse di bello nella vita e così lei gli raccontò degli anni di studi di economia e management, dei successi ottenuti e dei progetti svolti. Prima che arrivasse a raccontare delle tristi vicende che seguirono la fine degli studi e della frustrazione di non riuscire a trovare un lavoro, quello la interruppe. “Cavolo, dev’essere davvero bello sapere quello che sai tu, quello che hai imparato nel corso dei tuoi studi. Sai, tante volte noi titolari di piccole attività apriamo e chiudiamo senza sapere nemmeno il perché!”. Lì per lì questa osservazione la fece riflettere, ma lei passò oltre, tornando al pc a scrivere e-mail che non avrebbero mai ricevuto una risposta. La stessa cosa però le fu detta, nei giorni successivi, anche da una cartolaia e da un’aspirante negoziante. Ecco, per come la vedo io: la prima volta può essere un caso, la seconda è un indizio, la terza è una prova. Quello fu il momento in cui decise di smettere di mandare inutili e-mail ed iniziare a rendersi davvero utile per le persone. Fu allora che decise di aprire partita IVA e così ebbe inizio la nostra storia.

 

Ok, pausa un momento!

Tornando un attimo al presente, mi permetto di fare una considerazione: quella che sto raccontando naturalmente è la mia storia. Nel bene e nel male, si tratta di un’esperienza personale, che potrebbe anche rispecchiare il vissuto di tanti altri che si sono trovati a finire gli studi più o meno negli stessi anni, vivendo magari situazioni simili. Ciò nonostante, la mia non intende essere né una denuncia sociale né una critica. Soltanto, nel bene e nel male, la mia storia.

 

Se devo chiudere, almeno voglio sapere perché

Insomma, siamo rimasti a quando, in maniera perfettamente incosciente, ho deciso di aprire partita IVA col sogno di cambiare in meglio la vita delle persone. A distanza di un anno da allora, stavo già mettendo in discussione tutto e pensavo di chiuderla. Perché? Perché la mia stessa attività zoppicava e non volevo investire il mio futuro e la mia carriera in qualcosa che non mi dava alcuna garanzia di crescita o di stabilità. Quando stavo per mollare però, mi sono tornate in mente le parole di tutti quegli imprenditori che mi avevano detto “… apriamo e chiudiamo e non sappiamo nemmeno perché”. Ecco, io il perché avevo aperto lo sapevo e volevo quantomeno sapere perché le cose non funzionavano prima di gettare completamente la spugna.

 

Era il 2015, avevo allora da parte pochi soldi, il regalo di laurea di mia nonna, e avevo solo un anno di tempo per restare a Milano e provare a rimettere in piedi le cose. Decisi di rischiare e andare fino in fondo. Iniziai a lavorare part-time in un acceleratore di business che era, a sua volta, in fase di start up, e così ebbi la possibilità di conoscere quel mondo, contemporaneamente, sia dall’interno (come co-fondatrice) che dall’esterno (come business developer). Il resto del tempo lo passavo a studiare e ad interrogare professionisti di ogni genere, cercando qualcuno che sapesse dirmi cosa non andava o darmi almeno qualche consiglio… purtroppo invano. Non perché non ci fossero professionisti validi tra quelli che ho interrogato, ma perché secondo i commercialisti era una questione di conti, secondo gli avvocati era una questione di contratti e secondo i marketer era una questione di comunicazione. Io, purtroppo, non avevo soldi da investire in tutte queste cose in quel momento, così nel dubbio decisi di continuare a studiare.

 

La strategia di business: il motivo per cui siamo ancora qui

La svolta venne nel 2016, quando su consiglio di una cara amica (@Eva Berger, che poi diventò anche la prima co-founder di Pocket Manager) decidi di leggere un libro scritto da Michael Gerber, un coach americano che, lavorando per una vita con liberi professionisti e piccoli imprenditori, era arrivato ad essere un esperto riconosciuto a livello mondiale. Così scoprii la “small business strategy”, ovvero la strategia di business applicata alle micro-imprese: una materia che in America esiste da 50 anni ma che in Italia non era ancora arrivata. Grazie a quel primo libro e a tutti quelli che seguirono, riuscii in pochi mesi a ripensare completamente la mia attività e dare finalmente un volto e un nome al mio progetto: Pocket Manager.

 

Pocket volava, da subito, tanto che questo mi ha portata presto a una brusca rottura con i colleghi della startup a cui stavo collaborando. Scelsi di fare il contrario di ciò che in genere fanno gli startupper: decisi prima di creare un modello di business sicuro e sostenibile e poi di aprire le porte ad eventuali soci e finanziatori. Passai il primo anno a testare i miei nuovi servizi in una versione estremamente semplice. Volevo assicurarmi che il metodo che avevo imparato e sviluppato non fosse utile solo per me ma che funzionasse anche per gli altri. L’anno successivo, raccolti un mucchio di feedback positivi, perfezionai i pacchetti di servizi, testai nuove strategie di marketing e inizia a lavorare per rendere il modello di business scalabile nel tempo. Oggi, quattro anni dopo il lancio di Pocket Manager, stiamo aprendo le porte a nuovi consulenti e testando il modello come un franchising, di cui siamo ancora solo alla fase pilota.

 

Posso dire solo GRAZIE

Questa è la storia di una piccola impresa che va avanti, che ogni anno affronta nuove sfide e nuovi ostacoli per rinnovarsi e crescere. Tutto questo però non sarebbe stato possibile se non avessi avuto a fianco le persone giuste. Persone che hanno creduto in Pocket prima ancora che esistesse. Parlo di Eva Berger, coach, che si è presa cura di me, del progetto e di tutti coloro che ne hanno fatto parte mettendoci cuore e anima; Silvia Bollettini, allora copywriter, che non ha mai fatto mancare al progetto valore e risate; Noemi Saviano, visual designer, che ha camminato a fianco di Pocket Manager per tanto tempo prima di decidere di entrarci, ma che quando poi è entrata ha fatto la differenza; Chiara Cognetti, avvocato, che con Pocket è stato uno di quegli amori a prima vista… che però durano nel tempo; Grasiela Dantas, che è appena entrata ma ha già portato equilibrio, gentilezza e musica. Tutto questo senza parlare di tutti gli altri che sono stati nel progetto e che hanno lasciato qualcosa di valore al gruppo.

 

I miei 3 Motivi

Ho deciso di scrivere questa storia per tre motivi:

1) Perché voglio dire ai liberi professionisti e ai piccoli imprenditori che non sono soli, si può fare e noi ne siamo la prova;

2) Perché quando si vivono imprese come questa è importante fermarsi, festeggiare e ringraziare per celebrare;

3) Perché tutto questo speriamo sia solo l’inizio e crediamo che sia importante farvi vedere chi siamo, prima ancora di scoprire insieme chi diventeremo;

 

Grazie a tutti i nostri clienti, nessuno escluso, che hanno deciso di credere in noi e che, così facendo, hanno reso possibile tutto questo. Sono passati 4 anni ma l’impegno di Pocket Manager rimane sempre lo stesso. Non vogliamo lasciare soli i liberi professionisti e i piccoli imprenditori, aiutandoli realizzare i propri sogni ed a crescere con le proprie imprese.

 

Infine, GRAZIE a te che stai leggendo e che, se vorrai, potrai essere parte integrante del futuro di questa storia.

 

Con affetto,
Valeria Pindilli
Pocket Manager