27/05/21

 

Quante volte me lo sono detta? “Adesso stacco! Basta, mi prendo un momento per me”… e poi? E poi non succede mai perché la vita chiama, perché la testa comunque continua a girare e perché forse, sotto sotto, “staccare” non so bene cosa significhi.

Ciao, sono Valeria e questo è un articolo della serie “Vita da imprenditori”: una rubrica che non è proprio come le altre. Nessun consiglio, nessuna guida, qui. Ci sono solo pensieri sparsi, una pagina strappata dal diario della vita di un’imprenditrice. Sono le parole di una che ha voglia di raccontarsi, perché nel racconto trova un modo di affrontare le cose… e anche di sentirsi meno sola.

 

Sono io o c’è qualcosa che non va?

Dicevo: “Adesso stacco”… e poi non lo faccio mai. Mi sembra che quest’anno succeda anche più spesso di prima. Ho la sensazione che i confini tra le cose della mia vita si siano assottigliati. Il lavoro è diventato un po’ vita quotidiana, che si è mescolata a sua volta con le amicizie e con gli affetti ma rifiuta di integrarsi con gli hobby e le passioni. Il tutto messo insieme e ben agitato in quell’unico contenitore chiamato casa. Magari è tutta colpa del lockdown. Forse non saremmo arrivati a questo punto se non ci fossimo ritrovati forzatamente chiusi in casa, a far stare in una manciata di metri quadri vite abituate a viaggiare per chilometri. Oppure sbaglio e in fondo è sempre stato così.

 

Un po’ come innamorarsi… ma non proprio

Ci sono delle volte (e c’erano anche prima, in effetti) in cui arrivo a fine giornata stanca, ma così stanca, che solo l’idea di mettere insieme la cena mi è insostenibile. Una volta sono addirittura scoppiata a piangere perché avevo finito le uova. Alcuni imprenditori fanno della dedizione al  lavoro un vanto: “il capo è il primo ad andare a lavoro e l’ultimo a uscire dall’ufficio”, “quando si tratta di fatturare, sono sempre pronto!” e via così. È normale, in effetti. Quando credi in un progetto tanto da buttarci dentro anima e corpo è quasi impossibile staccarsi, un po’ come quando si è innamorati: la testa va sempre lì! Quando poi il business inizia a girare bene sembra quasi di sputare in faccia alla sorte ogni volta che ci si prende una pausa e magari si lascia scappare qualche “opportunità”.

 

Se mi fermo non faccio business… oppure no?

Eppure gli anni e l’esperienza mi hanno insegnato a prendere le cose con più calma, a dare valore al tempo del riposo e a ricercare l’equilibrio nel business, più che la forza e la velocità. Potrebbe sembrare una decisione “anti-business”, come se si trattasse di fare una scelta tra la dedizione al lavoro e il benessere personale. Invece ho capito che staccare, in alcune situazioni, è la cosa migliore che posso fare per la mia impresa, non solo per me stessa. Sembrerà banale, ma se lavoro fino allo sfinimento ogni giorno finisce che non ho più tempo per pensare a come mi piacerebbe sviluppare il business né energia da mettere nei progetti che seguo. Quando poi la situazione si protrae nel tempo, il rischio è che tutto ciò peggiori.

 

Non sono certa di voler “andare oltre”

Continuare a spingere oltre il limite pensando: “Ce la faccio! Ancora un po’ e poi smetto” mi ha portata a tratti a disinnamorarmi del mio lavoro, a viverlo come una trappola opprimente. Ogni progetto che morivo dalla voglia di fare si trasformava in un dovere. Eppure sono sempre stata felice di aiutare le persone a fiorire nel business. Ho sempre trovato una grande spinta alla fine di ogni ora, sommersa dalla gratitudine delle persone con cui stavo lavorando. Quei momenti per me sono sempre stati delle ancore di salvezza. Sì, perché mi ricordano che sono profondamente innamorata del mio lavoro. Proprio per questo e a maggior ragione, vivevo quei momenti di pesantezza con un duplice senso di frustrazione.

 

Adesso stacco, ma per davvero!

C’è poco da dire, per uscire da questo genere di circoli viziosi bisogna “staccare”, in un modo o nell’altro. A volte sono stata costretta a farlo, altre mi sono accorta per tempo della piega che stavano prendendo le cose e sono riuscita ad interrompere il ciclo di mia volontà. Così facendo ho scoperto che il riposo, oltre a rigenerare la mia persona faceva un gran bene anche al mio business! Già, perché quando sono riposata si sente: le persone mi sentono molto più presente e “sul pezzo”, la mia comunicazione è più efficace e i problemi sembrano più piccoli. Tradotto in business? Più feedback positivi, più fatturato, più efficienza ed efficacia nella gestione dei processi, più focus, più creatività e più coesione di team. Serve altro per capire che un’ora di giusto riposo vale dieci volte più (anche in termini economici) di un ora di sacrifici forse non necessari?

 

E col senno di poi, anzi, di adesso?

Questa esperienza mi ha insegnato a gestire meglio le mie energie e il mio tempo, imparando a risparmiarle quando si può, a non scendere sotto un certo limite e a spenderle comunque sempre in maniera intelligente. L’uso del tempo e delle energie, come quello del denaro, dovrebbe essere il più possibile un investimento, non una spesa, e come tale andrebbe gestito.

Non lo dico mettendomi sul pulpito a fare la predica, né “col senno di poi” (come se avessi già risolto tutti i miei problemi legati alla gestione del tempo) … anzi! Racconto questa esperienza con tutta l’umiltà di una che ci sta ancora dentro con tutte le scarpe. Fare un po’ di strada nella vita di impresa mi ha aiutata a elaborare alcuni espedienti utili, che condivido volentieri, ma non mi ha messo in tasca la soluzione definitiva.

 

Diamoci 3 consigli (a vicenda)

In particolare, 3 cose sono state molto utili per me:

 

    1. L’OSSERVAZIONE

      La cosa in assoluto più difficile quando ci si trova in situazioni di sovraccarico è rendersi conto di essere al limite. Tante volte si è così presi dalle cose da fare o così abituati ad andare continuamente oltre il limite da andare avanti. Non si sentono proprio tutti i campanelli di allarme che iniziano a suonare. Quali sono questi campanelli e come si fa a rendersi conto di stare esagerando? Credo che la risposta vari da persona a persona, l’unico modo per trovare la propria è osservare… ad esempio, ho notato che quando sono fresca e riposata, muovendomi per casa “ballo” (faccio stretching, saltello, faccio giochi di equilibrio ecc.). Viceversa, quando sono stanca mi trascino per casa molle e curva, “arrotolata su me stessa”. Altro esempio? Quando mi sveglio al mattino, in genere penso alla colazione e esalto giù dal letto… quando sto bene. Invece quando sto male e non riesco a ricaricare le batterie, penso qualcosa tipo: “Ecco, un’altra giornata di *”. Questo secondo pensiero non mi appartiene come persona, non lo sento mio, è solo indice di qualcosa che non va. Se queste cose succedono solo una volta ogni tanto non c’è bisogno di impensierirsi, ma se capitano già 2-3 giorni di fila a me danno da pensare;

    2. PORRE DEI LIMITI

      Quando non si ha un “capo” e si risponde solo a sé stessi, l’autodisciplina è fondamentale. Bisogna educare sé stessi e gli altri a rispettare gli spazi, gli orari e le modalità di lavoro sane, evitando il più possibile di eccedere o di fare eccezioni. Lo so, suona un po’ rigida come affermazione, ma essere “indulgenti” (con gli altri e con sé stessi) non aiuta a uscire da una situazione di eccesso, anzi, rischia solo di protrarre qualcosa che avrebbe potuto risolversi molto prima. Fissare dei paletti diventa dunque imprescindibile. Quali paletti? Ad esempio per me stessa ho scelto di non guardare lo smartphone di lavoro oltre le 8 di sera, di non rispondere alle chiamate “non programmate” (salvo emergenze), di dedicare un certo tempo prestabilito agli appuntamenti conoscitivi, al lavoro coi clienti o alle riunioni (non di più, né di meno), di non essere reperibile nel fine settimana… perché tutte queste cose mi toglievano un sacco di energia. Pensi siano tanti paletti? Concordo. Li rispetto sempre? No. Gli altri li rispettano sempre? Nemmeno. Però mi aiuta sapere che ci sono: mi permette di dare un limite a me stessa e anche di far capire con chiarezza agli altri cosa possono aspettarsi da me, cosa possono chiedere e cosa invece no. All’inizio pensavo di non farcela a rispettare questi limiti o temevo che gli altri avrebbero potuto prendere male le mie richieste o non rispettarle. Invece nella realtà ho avuto molte meno difficoltà di quanto credessi. Poi alcuni trucchetti (tipo togliere le notifiche a certe app o impostare automaticamente la modalità “riposo” da una certa ora in poi) aiutano ad essere ligi ai propri impegni anche quando la quotidianità chiama con prepotenza.

    3. LA CONDIVISIONE

      Come ci si sente quando si è sovraccarichi e si ha un ruolo di responsabilità (verso i clienti, verso i collaboratori, verso sé stessi…)? Ci si sente sopraffatti, come se non ci fosse via di uscita, e allo stesso tempo si sente di dover essere forti. Un bel mix, eh? Tutto sommato, ci si sente soli: sembra che gli altri non possano capire o addirittura ci si vergogna a parlarne perché equivarrebbe a un’ammissione di colpa: “Non è vero che è tutto sotto controllo, in realtà non ce la faccio.” Si teme di perdere la stima degli altri, la credibilità professionale e magari anche la fiducia delle persone. Eppure ho scoperto che è esattamente il contrario. Quando si arriva ad essere così carichi spesso è perché oltre a prendersi cura di sé stessi ci si sta dedicando molto anche agli altri e questo le persone lo sanno. Non solo, ho scoperto che tanti capiscono benissimo la situazione e sarebbero anche ben felici di aiutare, solo che non possono farlo se siamo noi per primi a non lasciarli avvicinare. Il lavoro in team mi ha insegnato tanto da questo punto di vista. Non finirò mai di ringraziare tutte le ragazze che lavorano con me, per cui sarei pronta a dare tutto ma anche che si prendono cura di me senza per questo perdere stima e fiducia in me o nel progetto. So di potermi confidare col mio team, ma lo so solo perché mi sono permessa di aprirmi e chiedere aiuto altrimenti non lo avrei mai scoperto. Consiglio, quindi? Diamo fiducia all’umanità e smantelliamo questo stereotipo del capo “forte e impenetrabile, che non si piega di forte a niente”: non è vero e non fa bene a nessuno pensarla così.

     

In conclusione

Grazie per aver letto fin qui, spero che le mie parole ti abbiano fatto sentire un po’ meno solo/a. Sicuramente parlarne ha fatto sentire meno sola me. Come ti dicevo però, questo post non è pensato per insegnare niente a nessuno: l’obbiettivo è la condivisione pura, fine a sé stessa. Se ti va quindi sentiti libero/a di condividere anche la tua esperienza nei commenti. Soprattutto: se hai qualche consiglio utile per risolvere una volta per tutte questo problema, fatti sentire! Ogni aiuto è sempre bene accetto, sia da me che da tutti quelli che ci leggono.

 

Con affetto,

Valeria Pindilli

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