C’è una cosa che accomuna la gran parte degli imprenditori italiani che hanno dato il via a una nuova impresa: non sono partiti studiando management o sapendo esattamente come fare a gestire un’impresa, ma semplicemente coltivando una passione, un’idea o una competenza, perfezionandola continuamente fino a farne prima un lavoro per se stessi e poi un’impresa.

I nostri grandi imprenditori molto spesso non sono “nati imprenditori”… in principio erano artisti, artigiani, mastri, tecnici e professionisti! Insomma, sono stati prima di tutto dei maestri e poi, soltanto in un secondo momento, sono diventati imprenditori.

Qualche esempio? Camillo Olivetti, Enzo Ferrari, Luisa Spagnoli, Pietro Ferrero, Krizia, Francesco Amadori, Mario Prada e sua nipote Miuccia, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, Michele Ferrero, Gianni Versace, Ferruccio Lamborghini, Pietro Barilla, le sorelle Fontana, Leonardo del Vecchio… potrei continuare a oltranza. Tutte queste persone e molti, molti altri, sono partiti da una passione e l’hanno resa un business.

A ben vedere tutti noi, piccoli imprenditori, non siamo poi tanto diversi da loro. Quanti di noi sono partiti studiando un mestiere per poi, solo in una fase successiva, mettersi in proprio? Quanti invece sono partiti dicendo: “voglio fare l’imprenditore”?

Partire dal mestiere e poi giungere all’impresa è uno sviluppo naturale, eppure anche questa strada riserva i suoi pro e i suoi contro.

Il maestro artigiano

La terza anima dell’imprenditore, dunque, è indiscutibilmente quella del maestro. È l’anima del fare: quella carica di passione, quella umile ma estremamente competente, quella che vive nel presente.

“Immaginato, detto, fatto”: questo dice l’anima di ogni esperto della propria materia. È il maestro quello che passerebbe notti insonni e giorni piegato sugli strumenti del mestiere. È sempre il maestro quello che passa la vita a imparare e, a volte, a imparare insegnando. È comunque dal maestro che occorre passare se si vuole fare una cosa e la si vuole fare bene, perché il maestro sa come si deve fare, sa farlo e ci tiene a farlo bene.

Il settore e la materia sono indifferenti: che si tratti di lavorare blocchi di marmo o concetti matematici, il maestro è quella figura che trova la soluzione giusta al momento giusto e la propone, fatta e finita, prima ancora che chiunque altro anche solo ci pensi.

Anche il maestro ha i suoi difetti

C’è poco da fare, questa terza anima è indiscutibilmente quella che chiude il cerchio, quella che mette la passione necessaria ad amalgamare bene il tutto. Eppure quest’anima da sola non basta. A malincuore, devo evidenziare dei lati negativi che anche per questa anima sono tanto forti quanto lo sono i pregi.

#1 Le novità spaventano

Tanto per cominciare, non chiedere a un maestro di lavorare in un contesto dagli orizzonti troppo ampi.

Questa figura basa la sua professionalità sull’esperienza e sulla sicurezza che gli dà la profonda conoscenza degli strumenti del mestiere e su consolidate routine che lo vedono quotidianamente impegnato nel suo studio/bottega, a ripetere gli stessi gesti e gli stessi ragionamenti, ancora e ancora. Portagli dei numeri o, meglio ancora, fagli vedere come si fa una cosa, e lui sarà ben felice di imparare, ma rimani sempre con i piedi ben piantati a terra.

I progetti innovativi, le idee fuori dal comune e, in generale, le novità tendono sì a incuriosirlo ma anche a spaventarlo o indispettirlo. Se incontri un maestro puro non aspettarti apertura mentale o ampiezza di visione: queste non sono doti che gli appartengono.

#2 Una vita dedicata ai dettagli

Inoltre, per poter diventare così esperto della sua materia, il maestro tende (o per scelta razionale o per inclinazione personale) a dedicare tutto il proprio tempo, le proprie energie e la propria attenzione al suo lavoro, scendendo sempre più in profondità per comprenderne i dettagli.

Tutto questo lo rende geniale ma lo fa sentire anche a disagio, quando si trova a doversi rapportare con una qualsiasi materia che non rientri nelle sue conoscenze. Pessima caratteristica quando si tratta di lavorare in proprio o, peggio ancora, di gestire un’azienda, perché tenderà a non voler nemmeno pensare a ciò che non è di sua competenza o, al contrario, a voler diventare un esperto di tutto.

#3 L’amaro giudizio di sé e degli altri

Si tratta di una figura estremamente critica sia verso l’esterno che verso sé stessa. Si tratta di una modalità di pensiero funzionale finché serve per perfezionare la propria tecnica anche in relazione al confronto con altri esperti. Tuttavia questo atteggiamento potrebbe facilmente degenerare in un distruttivo eccesso di autocritica o in una tendenza a giudicare l’operato degli altri. Non a caso i maestri vengono di solito raffigurati come persone buone e potenti ma perennemente sole.

Cosa comporta questo per un libero professionista/imprenditore?

  • Tendere a dare più che a ricevere;
  • faticare a stabilire il valore del proprio operato;
  • disperdere molto tempo ed energie in attività economicamente insostenibili;
  • lavorare più del dovuto ottenendo meno risultati di quanto ci si aspetta;
  • vivere con l’ansia di fallire o con la certezza di non fare le cose abbastanza bene;
  • non riuscire a immaginare di poter cambiare il proprio futuro.

Infine, chiudersi in un nostalgico ricordo del passato: quel luogo in cui è possibile osservare i propri errori col “senno di poi”, avendo la sensazione sì di aver sbagliato ma anche di aver imparato e senza di fatto aver più la responsabilità di poter fallire.

Il maestro-imprenditore

Non lasciare solo il maestro, dunque! Mettigli vicino un sognatore, che sia in grado di vedere oltre i suoi orizzonti e di mettere a fuoco una meta lontana; mettigli a fianco un manager che tracci la rotta e che lo rassicuri, sollevandolo dalla responsabilità di giudicare il proprio operato o di valutare rischi e opportunità che non comprende.

Lascia il maestro a lavorare in cabina o sotto coperta, dove può esprimersi liberamente, mettersi alla prova ed essere un grande capomastro/marinaio/cuoco/medico, ecc. e potrai stare certo che non avrai mai un problema sulla tua nave, per ciò che gli compete.

Insomma, rendilo il più possibile un maestro-imprenditore. La sua lealtà, la sua competenza e la sua passione daranno energia a tutto l’equipaggio: metteranno allegria, faranno tremare chi batte la fiacca e ti porteranno dritto alla meta.

Ecco quali sono le tre anime dell’imprenditore di cui parla anche Michael Gerber, ecco chi sono i tre uomini che devi ricordarti sempre di portare con te, in ogni tua impresa. Da soli sono persone comuni ma insieme formano un’unica entità capace di imprese apparentemente impossibili, qualcuno che di rendere i sogni realtà ha fatto il proprio mestiere, una persona che apparentemente non conosce limiti: un vero imprenditore.

La serie non finisce qui

A questo punto dovrei salutarti e dirti che questa piccola serie di articoli finisce qui. Che è stato bello raccontarti delle tre anime dell’imprenditore e che spero che ciò che hai letto ti sia utile nella tua vita imprenditoriale… però non posso farlo.

Già, perché mentre studiavo Gerber e mi confrontavo con altri colleghi in merito a questi argomenti è saltata fuori una cosa che potrebbe scombinare completamente le carte in tavola. Ci sono degli studi fatti da un noto psichiatra-psicanalista, che parlano di altre personalità “tipiche”, che sembrano sovrapporsi almeno in parte con le tre descritte da Gerber… salvo che non sono tre!

Ora ti saluto e ti aspetto la prossima settimana con l’ultimo, imperdibile, articolo di questa serie. Quante e quali saranno, davvero, le anime dell’imprenditore? Secondo te quale figura manca o quali altre si andranno ad aggiungere? Questo Natale il mistero si infittisce… 🙂

“Commentate, gente, commentate!”

Con affetto,

Valeria Pindilli
Pocket Manager