“Quell’uomo ha fiuto per gli affari! Saprebbe creare un business anche a occhi chiusi.”

“Un grande imprenditore, lui sì che sapeva quando e dove investire!”

 

Capita spesso di sentire frasi di questo tipo, che associano l’abilità di fare business a un qualche sesto o settimo senso: una dote di pochi, frutto dell’evoluzione o di un qualche gene mutante, che permette a certe persone di vedere delle opportunità di business là dove altri non vedono assolutamente niente.

Sono frasi che esprimono concetti radicati non solo nelle nostre tradizioni ma anche nella nostra cultura attuale e nel modo di creare un business e di gestirlo, oggi.

 

“Ho sempre agito d’istinto ed è sempre andata bene!”

“Non sono cose che si spiegano, sono cose che si sanno!”

 

Ecco, queste frasi in realtà non hanno un gran fondamento e, di fatto, si traducono più in una percezione distorta del creare un business che in qualcosa di positivo. Se da una parte si riconoscono a certi individui (scelti apparentemente dal caso o dal destino) dei poteri ultraterreni, dall’altra escludono tutto il resto della popolazione dalla comprensione anche solo vaga di questi sacri misteri.

Potrebbe sembrare una situazione quasi comica, eppure una credenza di questo tipo può avere delle conseguenze drammatiche su una società come la nostra, in cui l’economia poggia sulle spalle di liberi professionisti e piccoli imprenditori che spesso non sono educati (non per loro colpa) a creare un business ma hanno avviato o ereditato un’attività senza essere pienamente consapevoli di cosa questo avrebbe comportato.

 

Una mentalità di questo tipo crea dei mostri invece che dei bravi imprenditori:

-Da una parte qualcuno si sentirà investito del grande potere di “sentire” il modo corretto di creare un business, e pertanto baserà tutte le proprie scelte su istinto e sensazioni;

-Dall’altra qualcuno non si sentirà affatto convinto delle proprie doti imprenditoriali e si sentirà perennemente in difetto, non solo rispetto agli altri imprenditori ma soprattutto rispetto al proprio lavoro.

 

Inutile dire quanto le attività gestite secondo questa percezione dell’imprenditoria siano a rischio ogni secondo della propria esistenza: le scelte non vengono fatte secondo scienza e coscienza ma secondo istinto, i numeri vengono sostituiti da sensazioni spesso indecifrabili, il mercato diventa una bestia nera incomprensibile e pericolosa ed il “rischio imprenditoriale” non è più un elemento misurabile e contenibile ma un elemento dominante, che fa parte della natura stessa di ogni business. Senza contare che la capacità di alcuni di interpretare inconsciamente i moti del mercato e di reagire correttamente ad essi, solo elemento positivo di tutto ciò, diventa qualcosa di aleatorio, instabile e totalmente impossibile da trasferire ai successori di tali individui illuminati.

 

Basterebbe poco per imparare a creare un business!

Basterebbe poco per imparare a leggere correttamente le informazioni provenienti dal mercato, comprendere la struttura ed i processi del proprio business e saperli gestire al meglio le risorse a disposizione. Basta che qualcuno spieghi a queste persone (che non hanno potuto studiare, non che non hanno voluto!) come fare per:

-Comprendere il mercato ed i suoi bisogni;

-Comprendere le necessità e le potenzialità del proprio business;

-Rendere il più possibile automatici i processi interni;

-Comunicare efficacemente il proprio valore al mercato;

 

Immediatamente vedremmo un miglioramento: aziende più sane, professionisti consapevoli delle proprie possibilità, mercati più reattivi e persone più felici di fare il proprio lavoro, dedicando più tempo (non meno!) alla propria vita privata.

Basterebbe un pocket manager…

Ad Maiora,

Pocket Manager