Sembra quasi impossibile calcolare il giusto prezzo per i propri prodotti/servizi quando c’è crisi, l’economia rallenta e le condizioni ambientali sono sempre più incerte.

 

C’è crisi.

C’è crisi e le aziende chiudono.

C’è crisi e le aziende chiudono perché i clienti non spendono più.

C’è crisi e siccome le aziende chiudono perché i clienti non spendono più, l’unico modo per non chiudere è adattarsi. Come? Abbassando i prezzi, rendendo i prodotti accessibili al “giusto prezzo” anche a chi non può più permettersi di spendere tanto quanto prima.

 

Una deduzione logica ineccepibile, non fosse che, come al solito, non tutto è bianco o nero e non tutte le soluzioni vanno bene in tutte le situazioni.

 

Questo modo di pensare è tipico di un mercato concorrenziale (o in buona parte concorrenziale) come il nostro e deriva dalla percezione che ogni buon imprenditore ha del suo mercato. Quando “si è in crisi” la sensazione che si ha è che manchi la terra sotto i piedi: un mercato instabile, che sta cambiando velocemente, è un mercato che non dà più nessuna garanzia, di nessun genere, a nessuno.

Vedere i propri concorrenti in difficoltà chiudere o vendersi al miglior offerente, notare un calo drastico nel numero di clienti ed una maggiore difficoltà di trattativa potrebbe infatti indurre molti a pensare che, dal momento che le risorse scarseggiano, la soluzione migliore è stringere la cinghia finché si può e tirare a campare.

Il giusto prezzo, quello che permette ai clienti di accedere a beni e servizi ed alle imprese di sopravvivere col proprio lavoro sembra non esistere più, quando c’è crisi.

Tutto ciò è vero solo in parte e solo per alcune imprese, ma per poter definire quali imprese possono e dovrebbero muoversi in tal senso e quali invece no, bisogna prima fare una distinzione:

 

I beni ed i servizi possono essere categorizzati in tre macro-gruppi, molto diversi tra loro:

 

  • Beni Rifugio: sono tutti qui beni/servizi essenziali per la sopravvivenza, di cui tutti prima o poi hanno bisogno e che, anzi, diventano tanto più essenziali quanto più si riducono le risorse a disposizione. Parlo di cibo, acqua, coperte, assistenza medica e sociale… parlo di tutto ciò che diventa tanto più importante quanto più ci si avvicina alla soglia di povertà. Questi beni/prodotti sono rivolti alle masse e sono tipicamente delle commodity: non hanno delle caratteristiche per cui si possono differenziare più di tanto l’uno dall’altro (ex. C’è sale e sale, ma è sempre sale e spesso l’uno vale l’altro).

 

  • Beni di Fascia Media: sono prodotti/servizi non essenziali per la sopravvivenza, ma che certamente rendono migliore la qualità della vita. Potrebbero ricadere in questa categoria le auto, i profumi, gli orologi, i viaggi di piacere, il cinema, ecc. Anche all’interno della stessa categoria di prodotto, ci possono essere delle variazioni sostanziali tra un elemento e l’altro (ex. una city car è molto diversa da un fuoristrada) e sono pensati per stuzzicare e soddisfare voglie e desideri degli acquirenti.

 

  • Beni di Lusso: sono tutto ciò che una persona che non ha limiti di spesa (o ne ha di molto alti) potrebbe desiderare, sono premi, regali, gioie, ma anche segni molto forti di appartenenza ad una determinata categoria sociale. Si acquistano per capriccio, non per necessità, e simboleggiano uno status, dunque il loro acquisto spesso trascende la banale fruizione ma diventa un mezzo per comunicare un messaggio. Borse firmate, auto di lusso, gioielli e feste sfarzose: questo è il mondo del capitalismo ed è un’élite a cui pochi possono accedere.

 

In condizioni economiche ottimali i capitali vengono spesi in modo abbastanza omogeneo per acquistare tutte e tre queste categorie di prodotto, che sono uno specchio della composizione sociale: ci sono pochi ricchi che posso spendere tanto, molti poveri che spendono poco e un discreto numero di “borghesi” con una capacità di spesa nella media. Il giusto prezzo, dunque, non va stabilito solo in base ai costi di produzione o ai prezzi praticati dalla concorrenza, ma anche alla percezione che si vuole dare alpublico a cui ci si rivolge.

 

Cosa succede quando c’è una crisi?

Succede che i capitali si distribuiscono su questi tre livelli in modo sempre più polarizzato, concentrandosi soprattutto verso i beni rifugio (causa una povertà sempre più diffusa) e verso i beni di lusso (quando si dice “il lusso non conosce crisi”!), causando una carenza cronica d’acquisto di beni di fascia media.

 

Non è un caso che in stato di crisi i primi negozi a chiudere sono proprio quelli che vendono prodotti non essenziali alla sopravvivenza ad una fascia media di prezzo… fateci caso.

 

TORNANDO A NOI: in che modo tutto ciò si applica alla definizione del giusto prezzo?

Il punto è che in tempo di crisi ci sono molte persone che non hanno mai nulla da spendere, poche che possono ancora permettersi qualche spesuccia extra e pochissimi che detengono una quantità rilevante di capitale. Ora, dal momento che in fascia media si sta creando il vuoto cosmico, conviene spostarsi immediatamente da quella fascia altrimenti si rischia di essere i prossimi a cadere e non c’è modo di acquisire nuovi clienti perché di clienti proprio non ce ne sono.

 

MA

 

Bisogna anche essere consapevoli che mentre riuscire a raggiungere un posizionamento d’élite permetterebbe di vendere pochi pezzi a prezzi altissimi e dunque sostenere l’attività anche con un bassissimo numero di vendite, abbassare i prezzi comporterebbe invece rivolgersi alla categoria meno abbiente di clienti, per cui si renderebbe necessario produrre e vendere un numero enorme di pezzi per ottenere un buon guadagno e si correrebbe sempre dietro a clienti che tirano sul centesimo.

 

Inoltre il livello di concorrenza è molto più alto per i beni rifugio di quanto non sia per quelli di lusso, perché le barriere all’ingresso di nuovi concorrenti sono più basse e perché è quasi impossibile differenziarsi dal momento che, come dicevo sopra, per questa categoria di prodotti spesso l’uno vale l’altro. Quindi l’unico modo per vendere a queste condizioni spesso può essere solo rubare quote di mercato ai concorrenti abbassando ancora di più i prezzi e dunque riducendo sempre di più il margine di guadagno sul singolo pezzo.

 

Infine c’è un fattore molto importante da tenere in considerazione, soprattutto per le piccole imprese: la produzione. Sì, perché soddisfare un numero elevato di clienti richiede una forte automazione del business, risposte veloci e costi di produzione molto bassi (che spesso di possono ottenere solo contando sull’acquisto all’ingrosso delle materie prime e dunque sulle cd. Economie di scala). Viceversa, un lavoro lungo ed accurato sul singolo pezzo potrebbe portare alla creazione di prodotti perfetti per la fascia più alta di pubblico, senza rischiare di incorrere in blocchi di produzione e sovraccarico di lavoro.

 

Ora, sapendo tutto questo, possiamo provare a rispondere alla domanda iniziale:

 

Qual’è il giuso prezzo quando c’è crisi?

E’ davvero utile abbassare il prezzo, che sia in modo stabile o con sconti periodici?

 

La mia risposta, alla luce di quanto detto, è:

  • Certamente sì se produci commodity, hai una capacità produttiva molto elevata e pochi concorrenti nella tua area di mercato (ex. hai presente la Coop, che ha messo farina, uova, latte ecc. a prezzi “bassi e fissi”? Ecco);
  • Assolutamente no se invece sei un piccolo imprenditore/libero professionista, che lavora da solo e che tiene molto alla qualità di ciò che offre (sennò finisce che ti sovraccarichi di lavoro per soddisfare clienti che non percepiscono il tuo reale valore);

 

Ci sarebbe molto altro da dire su questo argomento, ma non è questo il giorno!

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Ad maiora,

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