Certo, un business con problemi di autostima sembrerà un paradosso. Probabilmente avrai risposto mentalmente: “Certo che no!” oppure: “Cosa cavolo sta scrivendo Valeria?”. Sono reazioni più che giustificate, ma devi sapere che ciò che sto per raccontarti non è frutto della mia irrefrenabile fantasia ma di una semplice e oggettiva osservazione dei fatti.

 

La panoramica generale

Procediamo per assunti.

Il primo assunto. Le micro imprese esistono e, anzi, sono la maggior parte delle attività presenti nel nostro Paese. Citando l’ANSA 2015, il 95% delle imprese italiane appartengono a questa categoria, ovvero studi libero professionali e piccole attività che hanno meno di 10 dipendenti e fatturano annualmente meno di 2 milioni di euro.

Il secondo assunto. Molti professionisti e titolari di micro imprese tendono a identificare se stessi con le proprie attività e viceversa. Posso affermarlo per esperienza personale, ma si tratta di un fenomeno che di fatto è sotto gli occhi di tutti. Mi spiego meglio facendo qualche esempio totalmente inventato che però non credo ti suonerà del tutto nuovo:

  • Marco è “l’avvocato” e il suo studio legale non è un’attività che in qualche modo può prescindere da lui;
  • Giulia è “la parrucchiera” e se un giorno la sua attività dovesse fallire e chiudere si sentirebbe “fallita”;
  • Giacomo è il titolare del ristorante “Da Giacomo” e se l’attività va bene o va male non è “anche per merito/colpa sua” ma è direttamente lui ad andare più o meno bene come gestore e, a volte, anche come persona proprio a causa di questa stretta identità.

Il fatto è che nelle imprese più grandi difficilmente capita che un dipendente o un socio finisca per identificarsi in modo così totale col proprio lavoro. Certo, c’è chi sceglie di investirci molto, ma per scelta di vita o per obiettivo di carriera, non perché sente in qualche modo che l’impresa per cui lavora gli appartenga e lo rappresenti in modo così assoluto.

Per i piccoli imprenditori invece è diverso: passano una vita ad avviare e cercare di far andare la loro attività, ci buttano anima e corpo, investono energie e capacità che a volte non pensavano nemmeno di avere, pur di farla funzionare.

Alla fine mettono nella loro impresa così tanto di sé da considerarla come una vera e propria estensione della persona stessa.

Ed è a questo punto che comincia il business con problemi, scopriamo perché…

 

Business e persona si fondono sotto un’unica entità

Ecco la mia deduzione: se l’impresa è la persona e la persona è l’impresa, allora queste due entità – che dovrebbero rimanere distinte perché ciascuna è caratterizzata da bisogni, necessità e logiche di vita molto diverse, spesso incompatibili tra loro – si fondono in un’identità apparentemente assurda.

Il business dovrà dormire, soffrirà di crisi emotive, vivrà grandi innamoramenti e delusioni, avrà problemi di timidezza o scarsa autostima, si fiderà delle persone/imprese sbagliate, alle volte sarà stanco, prenderà l’influenza e in generale si comporterà esattamente come il suo titolare… Ma in fondo sono la stessa persona, non è così?

Il titolare o il professionista del caso, viceversa, tenderà a mettere da parte tutto per portare avanti il lavoro, investirà a volte anche più del possibile attingendo a fondi propri, diventerà sempre più meccanico, disilluso, finanche “disumano” nelle relazioni perché tanto “business is business”. E se le cose dovessero andare male, potrebbe anche decidere di chiudere i battenti, proprio come la sua impresa, che poi di fatto è lui stesso.

Sono consapevole che ciò che ho appena scritto è molto forte e non vorrei sembrare generalista o catastrofista. Quello che hai letto è solo un estremo perché sono molti i liberi professionisti e i titolari di piccole imprese che non arrivano né arriveranno mai a tanto. Il mio intento era, impostando un ragionamento lineare – sebbene “per estremo” e “per assurdo” – quello di rendere evidente ai tuoi occhi poco allenati a notare certi fenomeni che questo approccio al business e questo modo di identificarsi con la propria attività, a volte potrebbe portare a conseguenze spiacevoli sia per la persona che per l’impresa. È bello coltivare i propri progetti e sogni, crederci fino in fondo e dare il massimo per portare avanti la propria impresa.

Questa identità è ciò che, in positivo, rende ancora umano il rapporto col panettiere e col barista, è ciò che spinge ogni giorno ad alzarsi dal letto e dare il massimo di se stessi e per gli altri, è ciò che porta a costruire delle imprese etiche, “a misura di persona”, non il contrario.

Eppure in alcuni casi, l’eccesso di questa identità può davvero portare a ciò di cui ho scritto sopra, l’ho visto coi miei occhi e continuo a vederlo ogni giorno.

Il mio invito dunque è di provare a mettere dei confini, che servano non a ridurre questo profondo amore per la propria attività ma a tutelare entrambe le parti in gioco e permettere loro di esprimersi e vivere al meglio.

Non occorre demonizzare questa identità, ma solo comprenderla e tentare di gestirla cercando un punto di equilibrio che, ti garantisco, è possibile trovare.

 

Fare la diagnosi al business con problemi

Se ti va di trovare davvero questo punto di equilibrio, prova a fare un piccolo esercizio.

Dividi un foglio in due colonne e, ripensando a tutte quelle situazioni in cui la gestione del business ti ha umanamente stressato oltremisura, elenca nella prima colonna i tuoi bisogni umani (tipo mangiare, dormire, avere una vita sociale, prenderti cura della famiglia, dedicarti alle tue passioni, ecc.), segnando in rosso quelli che alcune volte hai messo in secondo piano e sacrificato per il lavoro. Nella seconda colonna invece elenca ciò di cui il tuo business ha bisogno (restare attivo h24, maggiori investimenti, competenze specifiche, ecc.) ed evidenzia in rosso le mancanze che sono legate alle tue questioni personali ma hanno avuto o potrebbero avere delle ripercussioni sull’attività.

Prenditi il tempo che ti serve per compilarlo, molte cose non ti verranno in mente subito ma pian piano arriveranno. Quando avrai finito osserva la lunghezza di questo elenco e prova a chiederti: come posso rendere le due cose distinte, affinché non si influenzino in modo negativo e reciproco? Ci sono invece dei tratti positivi che derivano da questa unione che vorrei mantenere?

Se dopo aver fatto questo esercizio ti saranno venute in mente delle riflessioni che vorresti condividere, o delle domande a cui vorresti trovare risposta, scrivile pure liberamente nei commenti e ti risponderò volentieri, nella speranza che anche altri lo facciano.

Il confronto può sempre aprire a nuovi punti di vista e, a volte, ha anche il potere di aiutare chi ha un business con problemi.

 

Con affetto,

Valeria Pindilli

Pocket Manager